giovedì 21 gennaio 2016

Per informazioni, rivolgersi al mio kebabbaro di fiducia

All’inizio dell’anno, Sorella volteggiava in cucina. Poi ha iniziato le lezioni. Da allora, la nostra dieta si era ridotta a boccacci amorevolmente preparati da Madre, principalmente di legumi, orzo, farro e zuppette.
E il take away. Just eat ci ha anche tolto il bisogno di interagire con il pizzettaro/kebabbaro/ristorante etnico di turno. Il problema è che il nostro preferito, noto per la pizza buona e il kebab delle dimensioni di un bambino di tre anni, su just eat non c’è. Sono ragionevolmente certa che sia quello con cui interagiamo. O interagivamo.
Di ritorno dalle vacanze di Natale, per la legge del dovremmo smettere di mangiare, allora ordiniamo pizza e kebab, lo chiamiamo.
Fast forward al momento della consegna.
-Salve, ecco a lei.
-Grazie mille, ecco a lei i soldi.
-Perfetto! Buon anno in ritardo! Sa, ci siamo preoccupati, non ci avete chiamato per due settimane. Tutto a posto?
-Eh… si. Eravamo a casa.
-Ah, si spiega! Meno male che state bene!

Rientro in cucina da Sorella, che, nascosta dietro la porta ha sentito tutto.
-Beh…
-Beh…
-Potrebbe essere un segno ce è ora di ordinare a domicilio almeno una volta….
-di solito sono due…
-A settimana.  O che dobbiamo cambiare fornitori.
-Però sai che bello… potremmo metterlo in cima alla nostra lista dei contatti di emergenza.
-O se dovessimo avere incidenti domestici, verrebbero a controllare ed eviterebbero che le nostre spoglie vengano divorate dagli alsaziani.
 



giovedì 14 gennaio 2016

Riflessioni al telefono

Ottobre.
Telefono con la mia migliore amica (se mi leggi, C., sappi che mi manchi e voglio tornare all’università a vivere con te).
-Mi è venuto a trovare a Roma mio fratello, solo noi due, ormai è grande.
-No che bello, ma quando abbiamo iniziato l’università era un bimbo.
-Eh, si, ma è un maschio adolescente, sai che a quell’età sono un po’ difficili.
-Sono difficili, si, io vedo i miei cugini.
Momento di silenzio.
-C., abbiamo appena parlato degli adolescenti come se noi lo fossimo state secoli fa?
-Si.
-Dovevamo fare un patto suicida molto tempo fa, prima di arrivare a questo punto.
-Eh.
-Eh.
Momento di silenzio in cui contempliamo l’infinito.
-Che poi io mi sento ancora incasinata come un adolescente, ma con mille problemi in più.
-Anche io.
-Vabbè dai, ma a un certo punto migliora, no?
-…
-C., parlami.
-Beh… mi è capitato di parlare con mio cugino, quello di 35 anni…
-Migliora vero? Intorno ai 35 anni avremo la nostra shit together, vero?
-Ehm… in realtà….
-NO?
-No, a 35 anni è incasinato come noi.
-Almeno a questo giro ci arriverò preparata. Non come quando mi avevano detto che i brufoli passano a 18 anni. O come quando mio padre mi aveva convinto ce se non ti fai la ceretta, i peli superflui cascano da soli a 13 anni.
-Quindi è per questo che nelle foto delle tue medie sembri Frida Khalo?
-Per i peli. Per la stazza ero Diego Rivera.
Altro minuti di silenzio, in contemplazione delle medie come periodo orribile.
-       C., mi manchi.
-       Anche tu.
-       Come l’aria.
-       Come l’aria.


venerdì 8 gennaio 2016

6 anni di patente e non sentirli

Milano, post vacanze natalizie. Saudade, acuta a tratti acutissima. E i miei amici milanesi che si meravigliano del fatto che io abbia accusato tantissimo il rientro. Fateveli voi 10 giorni viziati e coccolati, per poi tornare alla regolare vita in cui provi a mettere insieme i pezzi della tua vita, tra il bucato, il pavimento da lavare e doversi improvvisare in cucina. Comunque.
Sorella è in sessione. Non c’è n’è per nessuno, anzi, son volatili per diabetici per tutti. La tristezza è incommensurabile, alla sera la interrogo sui tipi di cacche dei bambini e dei neonati. Argomenti che si accompagnano benissimo alla cena. Ma comunque.
Il dramma della settimana è che fa freddo e bisogna mettere in moto la macchina, onde evitare che la batteria ci abbandoni sul più bello. Al che mi offro volontaria.
-Sorella, se vuoi la macchina la prendo io per andare al master.
10 minuti di risate dopo, durante i quali io appendo un muso lungo da qui in puglia, Sorella si asciuga le lacrime e tenendosi il pancino gonfio di cioccolata, mi dice: Chiedi a Padre.
Chiamo padre e gli faccio la proposta. 20 minuti di risate dopo, padre mi spiega che, nonostante io abbia la patente da anni, la mia esperienza di guida non ammonta a 4 settimane e che non se la sente di sguinzagliarmi senza supervisione nel traffico milanese. Il compromesso è raggiunto: farò delle guide di prova con Sorella.
-Attenta, guarda, guarda, GUARDA CAZZO!! Gira a sinistra, a sinistra ho detto, perché hai girato a destra? Hai 24 anni, devi imparare a distinguere destra e sinist… frena! FRENA!!! Io adesso non ti dico niente e fai tu, male che va moria… DOSSO! DOSSO! [TUNF TUNF, TONK]. Ti rendi conto? Ti rendi conto? Ecco, ora hai la precedenza, va, vai, ti ho detto VAI! Devi andare, cazzo, hai la precedenza, qui sono milanesi imbruttiti, ti passano anche sopra!!
Rientriamo in garage. Mi giro per pendere la borsa.
-Perché hai abbassato i sedili?
-Si sono abbassati quando hai preso il dosso a 70 all’ora.
Sorella esce dalla macchina e si accascia contro il muro. Tra i capelli iniziano ad apparire ciocche bianche. Nel frattempo io telefono a Padre.
-Genitore, non capisco tutta questa agitazione. È andata benissimo. Si, ti passo Sorella.
Passo il cellulare.
-Padre, non credo sa ancora pronta. No, non è andata malissimo, aspetta un attimo [si fa un massaggio cardiaco e fa ripartire il cuore], certo non è ancora pronta [studia l’invecchiamento precoce del suo viso e le nuove rughe che le si stanno scolpendo sul viso], ma ci possiamo lavorare.
Chiude.
-Dai seriamente, come è andata?

- Nella seconda guerra mondiale saresti stata un ottimo kamikaze giapponese, sai?

mercoledì 6 gennaio 2016

I pinguini di MISS Fra

Primi giorni di master.  Sono impiguinata alla fermata dell’autobus. Piove. Di solito l’autobus è già lì quando arrivo, oggi, giustamente, no. È anche i primo giorno di scuola, c’è un diffuso brulicare di adolescenti e pre-adolescenti in vari stadi di brufolazione, mode ridicole e altri malanni tipici di quell'età. Si incontrano, si abbracciano, urletti tra ragazze.Tutto con gli ombrelli. Accanto a me un gruppetto di ragazze, 15-16 anni. Al terzo ombrello che mi arriva in faccia, mi giro e sto per lanciarmi in un'orazione, con un incipit bello sonoro,tipo: Usque tandem abutere patientiae nostrae, puella? La ragazza mi precede: "Mi scusi signora." E mi fa quel sorrisetto che facevo anche io quando volevo evitarmi il predicozzo da un adulto.


Supero il trauma. Forse. Comincio a pregare che mi tornino dei brufoli (sarò accontentata nella mia preghiera, ovviamente).
Al rientro, ancora pinguina, ancora lunedì. Tutta in nero, bitch resting face di ordinanza. Aspetto l’autobus per rientrare, perché tutto succede alle fermate del bus, l’incontro con il mondo, con il disagio. Sembro particolarmente adulta, particolarmente scazzata, me lo dico da sola. Indi ragion per cui non inorridisco tropo quando mi sento fare toc toc sulla spalla e sento un flebile ed educatissimo "Signora...". Invece dell'acido "Signorina, prego" con cui rispondo di solito, o del silenzio pietrificato con gli occhi alla Bellatrix Lestrange, ora mi calo nel ruolo. Tolgo le cuffie e sorrido a 32 denti, stile maestra il primo giorno di prima elementare. Davanti a me una ragazzina di 13 anni.
"Si?"
"Signora, è già passato il bus?"
"No, non ancora"
"Grazie signora"
"Figurati... piccola".
La vecchia e savia.
Così matura e posata, che ha fatto in tempo a passare al supermercato.
E ora ha la borsa piena di prodotti Kinder.
Maturità, non mi avrai mai per davvero.


martedì 29 dicembre 2015

E pace in terra agli orsetti di buona volontà

Natale non aiuta il mio fragile sentimento di adultitudine.
Sarà l’essere seduta costantemente al tavolo dei bambini, anche se adesso il più piccolo di noi ha 18 anni. Saranno le nonne che continuano a pizzicarmi le guanciotte, o a darmi pacchette sulla schiena dopo che ho bevuto l’acqua. O Madre e padre che vogliono essere avvisati circa i miei movimenti, quando arrivo nei posti (“Mi chiami quando arrivi?” “Madre, vado a casa dell’amica storica, a 2 minuti a piedi”, “sì, ma tu chiama”). Sarà dormire nella cameretta, immutabile da quando ho 12 anni, verde pistacchio e rosa, con ancora appesi i poster dei miei 17 anni. Saranno tutte queste cose.
Sarà anche che non mi devo preoccupare di cucinare, ma il cibo è già lì pronto. O che madre si è messa a ridere quando mi sono proposta di aiutarla in cucina. E poi ha telefonato a mia zia per raccontarglielo. E ridevano al telefono. E poi è arrivata mia Nonna, ha voluto sapere perché ridessero, glielo hanno detto e si è messa a ridere anche lei. Insomma, avete capito.
Sarà che il pigiama con il quale dormo qui ha sopra degli orsetti che sciano.
Eppure…
Eppure le amiche di mia madre non fanno altro che dirmi che “bella giovane donna” io sia diventata. Eppure mi trovo a proteggere i miei nonni dalle brutture che capitano. Eppure mi trovo a sollevare i carichi pesanti per Madre.
E se l’adultitudine non fosse una cosa che ti trovi addosso all'improvviso, ma un processo che arriva piano piano?
Non lo so. Domanda troppo difficile. Mi rimetto addosso gli orsetti e ci penso.




sabato 19 dicembre 2015

Pensavo fosse amore, invece era l'impasto

Infilo le chiavi nella toppa. O meglio, ci riesco al terzo tentativo, perché se misurassero il quoziente intellettivo dalla capacità di infilare la chiave al primo colpo, beh, io mi porrei più o meno al livello delle meduse. Che non hanno cervello. Comunque. Entro in casa e sento rumori sospetti dalla cucina. Ci sono varie possibilità.
a)      Sorella è rientrata e sta cucinando. 
b)      La mia fata madrina è apparsa e sta cucinando.
c)       Un procione si è introdotto in casa alla ricerca di cibo. Disperato da quanto poco avesse da offrire il frigo, ha fatto la spesa e sta cucinando. Amico procione.
Stranamente, però, è mia sorella che spignatta. O meglio, sta preparando i muffin, munita di grembiule con ochette e fiocchi rosa. Faccio appena in tempo a chiudere le mie fauci a vuoto dove prima c’era l’impasto, che lei inforna.
-Non sono per te.
- E  per chi sono?
-Per i miei compagni di università.
- Ma... ma... ma…
-Ne ho fatto uno a testa per noi due dopo, tranquilla.
Non fidandomi della parola di mia sorella, continuo a volteggiare attorno al forno, fino a quando non vengo spedita gentilmente fuori dai piedi. Obbedisco.
Il timer del forno non fa in tempo a smettere di fumare che io sono già in cucina, seduta al tavolo, la tovaglietta davanti. Sorella sospira e mi mette avanti un rotondissmo, doratissimo, cioccolatississimo muffin. Mi preparo all’attacco, ma vengo fermata.
-Ferma che è bollente. Aspetta.

-Ok, adesso si è raffreddato.
All’ok, stavo già mangiando. Cibo, cibo vero cucinato da qualcuno che sa dosare sale, zucchero e ingredienti, non che misurare tempi di cottura veritieri. Sorella mi guarda compiaciuta.
-Ti piace?
-Si. Si. Si.
-L’impasto? Ti sembra strano?
-No.
-Perfetto.
Sorella estrae il cellulare e manda un messaggio vocale agli amici.
-Ragazzi, per i muffin tutto ok. Non mi fidavo dell’impasto, ma mia sorella sta mangiando e non sembra avere problemi di sorta.
Silenzio.
-Mi hai usato come cavia?
-No, come assaggiatrice. Era buono no?
-…
-…
- Tu e le ochette del tuo grembiule vi beffate di me.


lunedì 14 dicembre 2015

Non solo i gatti hanno paura dell'aspirapolvere

Fine agosto. Giorno 3 della convivenza. L’adultitudine prevede pulizie di casa a cadenze fisse. Io e Sorella siamo pronte. Per evitare bagni di sangue, seguiremo un rigido sistema di rotazione. Che oggi prevede io passi l’aspirapolvere prima che lei lavi i pavimenti. Sorella abita da due anni in questa casa, ormai ha un grado di autonomia nelle pulizie tale che potrebbe farle a occhi chiusi. Sa quale battiscopa è l’acattapolvere preferenziale, l’angolatura giusta per infilarsi a pulire l’angolo infame tra i sanitari.
Sono una recluta, l’aspirapolvere è la cosa nella quale mia sorella ha pensato potessi fare meno danni. Ha great expectations. Non la deluderò.
Dopo qualche problemino tecnico, in cui ho scoperto che quello che credevo fosse il tasto di accensione del suo aspirapolvere, in realtà è quello che sgancia il sacchetto, sono pronta. Non ho mai passato l’aspirapolvere in maniera così accurata.  E cantando con tanto gusto I want to break free.


Finisco e, con l’anima in pace, mi posizione sul divano, io e il mio Netflix. Poi sento uno squittio dal bagno. Cresce di intensità e raggiunge livelli di ultrasuoni tali che un paio di allarmi scattano, i cani abbaiano e gli stormi volano via dagli alberi. Nela frequenza che riesco a captare, percepisco qualche lettera sparsa del mio nome. Saggiamente, decido di avvicinarmi con cautela. Sorella è lì, che, iperventilando, mi indica dei capelli sul pavimento.
La guardo.
Mi guarda.
Prende un respiro profondo, vedo passare nella sua mente immagini calme e rilassanti. Entra in modalità educatrice.
-e questi?
-…
-non andiamo bene. Se passi l’aspirapolvere lo devi fare per bene.
-ma ti giuro che sono stata attentissima.
-Guarda che non mi devi prendere in giro.  Non sei stata approfondita nelle pulizie e adesso la ripassi.
-Ma non c’era niente, ti giuro.
Comincia l’escalation dei toni, recriminazioni che partono da quella volta che alle elementari le rubai la merenda e arrivano all’ingiustizia del mio metabolismo lento in confronto al suo.  C’è un momento di pausa, musica da Mezzogiorno di fuoco in sottofondo, tutte e due prendiamo fiato e…
Un   singolo   capello

  si   stacca   dalla   mia   testa   e
 
  volteggia,   

 delicato,  

 leggero, 

  in   un   moto   a   spirale,

  fino   a   quando   si   poggia,

  lieve

sul   pavimento.

Silenzio.
-Tu da domani giri per casa con la cuffia da doccia in testa.
-…
-…
-Vado a prendere l’aspirapolvere.

-E poi porta i tuoi capelli da un’altra parte.